Operae è un festival dedicato al design indipendente ma è fondamentale sottolineare come questo appuntamento annuale a Torino sia ogni anno più importante per permettere che design, artigianato, gallerie e istituzione si incontrino. Durante l’edizione 2015 molti designer presenti ad Operae hanno stretto importanti rapporti lavorativi, un esempio lampante è quello di Federico Peri che ha incontrato la galleria Nilufar o i tappeti Arengario per Cappellini di Zanellato e Bortotto.
L’edizione 2016 si svolgerà dal 3 al 6 Novembre all’interno di Palazzo Cisterna a Torino e il progetto curatoriale del festival è stato affidato ad Annalisa Rosso, giornalista indipendente di design e architettura, consulenze per aziende, agenzie creative e di trend forecasting, ha contribuito ai lanci editoriali come AtCasa, organizzato mostre per Zona Ventura Lambrate, contribuito all’apertura del mercato italiano per l’e-commerce MADE.COM e collaborato con diversi poli universitari.
La lunga lista di esperienze lavorative importanti è solo l’introduzione per capire il ruolo svolto da Annalisa Rosso per l’edizione 2016 di Operae che avrà come tema Designing the future, un nuovo modo per guardare la figura del designer.
• Un Manifesto di dieci punti per spiegare il tema della settima edizione del Festival e si parla di coraggio, dell’importanza delle proprie scelte. C’è una scelta che hai fatto e che racconteresti ai designer per spiegare cosa significa oggi avere coraggio in questo settore?
Pochi giorni fa ho letto che Eleanoor Roosevelt diceva “fate ogni giorno qualcosa che vi spaventa“. È difficile andare avanti quando si rimane ancorati alla propria comfort zone. Anni fa lavoravo in una grande redazione, ma quando mi è stato offerto un contratto stabile l’ho rifiutato. Sono diventata free lance per poter lavorare a tempo pieno sui temi che mi appassionano. Ci vuole coraggio e forse un po’ di incoscienza per scegliere di seguire le proprie idee.
• Il Calendario di appuntamenti annuali legati al design è sempre più ricco. Quali sono imperdibili, quelli che secondo te riescono ad aprire una finestra sul futuro parlando al presente?
Vado sempre con piacere a Londra, Eindhoven, New York (ma non tutti gli anni, cerco di alternare). Ogni posto ha il suo carattere, i suoi temi che aprono nuove riflessioni. Di recente, negli USA ho avuto la conferma di come il design contemporaneo da collezione stia vivendo un momento eccezionale. E mi ha colpita la Design Week di Pechino per la sua capacità di lavorare sullo status quo concretamente, aprendo nuove prospettive alla città.
• Se ti chiedessi tre nomi (progettisti, aziende, prodotti) per raccontare il design nel 2016?
Alla Design Parade 2016 di Hyères mi ha colpito il lavoro degli Odd Matter: la loro ricerca radicale attiva una serie di riflessioni sul design che verrà. Sono sicura che sentiremo molto parlare di loro. Dal punto di vista del prodotto, ho trovato di grande interesse la volontà del Museo della Merda di fondare il proprio marchio registrato Merdacotta con cui distribuire vasi, mattonelle, un servizio da tavola. Un esercizio di grande intelligenza.
Da ultimo, più che di aziende vorrei parlare di gallerie. Il settore del design contemporaneo da collezione, relativamente nuovo, permette libertà che nella produzione industriale non esistono. A Milano, seguo assiduamente la programmazione di Camp Design e Salvatore Lanteri.
• Non è un rischio/un limite per chi si occupa di design parlare solo con il mondo del design? Quanto sono importanti e costruttive le contaminazioni?
Le contaminazioni – o meglio, le collaborazioni – sono fondamentali. È importante per un progettista avere delle competenze specifiche, ma nello stesso tempo è necessaria una visione d’insieme più ampia, complessa. Il design è ovunque: nelle scuole, negli ospedali, nelle basi aerospaziali. Le diverse discipline si incontrano, si parlano e lavorano insieme. Un approccio che non è scontato, e andrebbe insegnato a scuola.