E' UNA QUESTIONE DI DESIGN
05/2018
design
exhibitions
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E' UNA QUESTIONE DI DESIGN
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E’ una pausa dalla normalità, è un eccesso di informazioni, ogni giorno e per soli cinque giorni, a Milano.

La design week è un momento di ordinaria follia ma è anche un momento strategico per tutti quelli che nel mondo del design lavorano tutto l’anno. E’ un momento straordinario.

E’ come fare una fotografia sul design contemporaneo, è come fare un’indigestione di design che sazia per un anno, è come provare a immaginare quello che verrà leggendo gli indizi lasciati dai progetti di oggi.

E allora cosa ha voluto dirci la design week 2018?

Abbiamo aspettato che finisse, abbiamo anche aspettato di fare un giro al mare e liberare la testa da tutto quello che abbiamo visto, per fare un recap a bocce ferme. Otto punti, non dieci e non tre, per fare il nostro racconto di quella che sembra essere il design di oggi e anche quello di domani.

1 • Non ci sono vie di mezzo. Vince l’ipertecnologia o l’iperartigianale. Vince chi rischia, chi fa scelte nette, chi racconta una storia fatta di elementi precisi e lo fa con convinzione. Abbiamo guardato con occhi sognanti la collezione di tappeti presentata da cc-tapis o la collezione Centina disegnata da Giacomo Moor per Giustini / Stagetti ma abbiamo anche osservato attentamente quella casa in 3d che lo studio CLS ha reso accessibile a tutti, lasciando finalmente intravedere la luce oltre le sperimentazioni da stampa 3d fatta in casa.

2 • Un’ottima annata. Non parliamo solitamente di numeri ma questa volta ci sembra dovuto: è stato un anno da record, la fiera con il Salone del Mobile ha registrato un +26% rispetto all’anno precedente e il settore considerato del lusso è in ascesa. La design week di Milano è un punto di riferimento in tutto il mondo, è un’eccellenza, è uno di quei momenti in cui le cose sembrano davvero funzionare.

3 • Andiamo a Ballare in Sud America. Se c’è un’area geografia che ha dominato la scena questa volta è stata ampia e colorata, calda e accogliente come il Brasile,la Colombia o il Messico. La Vereda di Marni è stata una pausa dalla città, catapultati tra i colori e la musica della Colombia; al Nilufar Depot l’omaggio a Lina Bo bardi parlava italiano con spiccato accento brasiliano; Bethan Laura Wood ha portato un po’ di Messico da Moroso con arredi, tessuti e arazzi.

4 • E’ una questione di Punti di vista. Altra carta vincente? La ricerca e l’espressione di un punto di vista attraverso un linguaggio personale, costruito con i progetti e la capacità di metterli in scena in modo credibile. Dimore Studio alla design week ha fatto centro anche questa volta, al di là di ogni ragionevole dubbio per la capacità di raccontarsi.

5 • Specchio specchio delle mie brame qual è il materiale più bello del reame. Noi un’idea ce la siamo fatta e la risposta è il vetro. Per installazioni o prodotti, il vetro è stato una costante con progetti come quelli dei fratelli Bouroullec per WonderGlass o il paravento Rayures per Glas Italia che abbiamo visto anche a Palazzo Clerici con Hay. Al secondo posto la resina e sul gradino più basso del podio, ma pur sempre tra i primi tre, il legno.

6 • Ad ognuno il suo decennio preferito. I rumors sulle tendenze parlavano degli anni Settanta ma questa volta non c’è stato un solo decennio del passato a far capolino tra le collezioni, questa volta abbiamo visto gli anni Novanta e i colori psichedelici, gli anni Quaranta, gli Ottanta e il design storico. Perché forse quando la varietà dell’offerta è così ampia è davvero difficile parlare di trend dominanti, è di moda chi non è di moda, vince chi riesce a distinguersi, ad uscire dal seminato e, magari, a lasciare da parte l’ottone.

7 • Il culto dell’icona. Lo avevamo detto anche prima della design week e lo ribadiamo dopo la design week. Non c’è per forza bisogno di presentare qualcosa di nuovo per entrare a far parte della narrazione che ogni anno si costruisce intorno alla design week. Tra i progetti più interessanti “Villa Borsani: Casa Libera!” e – fuori classifica – il nostro progetto Fantastic Mollino. Parlare al pubblico del design storico attraverso un linguaggio contemporaneo è possibile.

8 • Ora e adesso. Hanno vinto prima di ogni altra cosa le esperienze, le atmosfere, le storie che le aziende hanno saputo costruire intorno al prodotto, alla collezione, ai designer.
Entrare negli spazi di Alcova come a Palazzo Clerici, in un club privato come in un giardino di solito riservato a chi in certi palazzi ci lavora ogni giorno: è stato questo il trampolino di lancio per i progetti che ci sono sembrati più riusciti di altri. Non basta chiamare il designer di fama internazionale, non basta avere lo stand in fiera e fare l’aperitivo al fuorisalone. Lo storytelling è la somma di tanti elementi che si traducono in un’esperienza in grado di colpire le persone, le stesse che sono abituate a viaggiare, a girare e scoprire. E sapete qual è lo strumento per raccontare queste storie e misurarne pregi e difetti? Il web. Guardate i profili dei curatori arrivati a Milano da tutto il mondo, osservate l’attenzione con cui – alcune – aziende si raccontano e magari anche il canale @design lanciato da instagram proprio durante la design week per averne prova.

Photo Credit: simple flair

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